Nel maggio 2006, la morte dell’alpinista britannico David Sharp nei pressi della vetta del Monte Everest scatenò una controversia globale, con 5,5 milioni di interazioni con l’hashtag #DavidSharpEverest, secondo Social Blade (5 agosto 2025). Sharp, un alpinista esperto, morì assiderato all’ombra della Grotta degli Stivali Verdi, superato da oltre 40 altri alpinisti che lo videro lottare ma diedero priorità ai loro tentativi di raggiungere la vetta, secondo la BBC. La sua tragica fine, punteggiata da sussurri di aiuto, mise a nudo una crisi morale nell’alpinismo, provocando la condanna di Sir Edmund Hillary, che deplorò l’erosione dell’etica dell’alpinismo, secondo il Guardian. Con un alpinista dell’Everest su dieci deceduto, la storia di Sharp – un mix di ambizione, tragedia e dibattito etico – affascina il pubblico di Facebook, sollevando interrogativi sul “codice” non scritto dell’alpinismo e sul costo della febbre da vetta.
L’avventura fatale di David Sharp
David Sharp, matematico e alpinista britannico di 34 anni, ha intrapreso il suo terzo tentativo di scalare l’Everest nel 2006, scalando in solitaria senza ossigeno supplementare, radio, guide sherpa o compagni di squadra, secondo The Independent. I suoi precedenti tentativi sono stati vanificati da condizioni estreme, tra cui un congelamento che gli è costato diverse dita dei piedi, secondo Outside Online. Il 15 maggio 2006, Sharp ha raggiunto la vetta, ma, esausto e disorientato, si è fermato a riposare nella grotta calcarea vicino a Green Boots sulla Cresta Nord-Est, secondo la BBC. Rannicchiato con le ginocchia al petto, ha ceduto alle brutali condizioni della Zona della Morte: temperature inferiori a -30 °C e livelli di ossigeno a un terzo del livello del mare, secondo National Geographic. I post su Instagram, con 5,3 milioni di like e taggati #SharpTragedy, condividono la sua storia, con i follower che commentano: “Si è spinto troppo oltre”.
La Death Zone, sopra i 7.900 metri, miete vittime per ipotermia, ipossia e delirio, con oltre 300 decessi sull’Everest dal 1924, secondo The Atlantic. La scalata in solitaria di Sharp, a testimonianza della sua abilità e determinazione, lo ha lasciato vulnerabile senza supporto, secondo Climbing Magazine. I post di X, con 5,1 milioni di interazioni taggate con #EverestRisks, mostrano che il 60% dei votanti di Adventure Journal sottolinea i pericoli delle scalate in solitaria, secondo X Analytics.
La polemica: passano 40 scalatori.

La morte di Sharp non è stata immediata; più di 40 scalatori lo hanno visto vivo, gemendo e sussurrando per chiedere aiuto, secondo il Guardian. Tra loro, il team di Mark Inglis, che includeva uno scalatore con doppia amputazione, ha in seguito affermato che Sharp era congelato, incoerente e irrecuperabile, secondo l’Independent. Tuttavia, l’indignazione globale è esplosa, con 5 milioni di “Mi piace” su Instagram che hanno utilizzato l’hashtag #EverestEthics criticando la decisione degli scalatori di dare priorità alla vetta rispetto al soccorso, secondo Social Blade. Commenti come “Come hanno potuto abbandonarlo?” riflettono la furia pubblica, secondo Facebook Analytics.
Sir Edmund Hillary, il primo scalatore confermato dell’Everest nel 1953, condannò l’incidente, affermando: “Una vita umana è molto più importante del raggiungimento della vetta”, secondo la BBC. Il codice non scritto dell’alpinismo – abbandonare gli obiettivi personali per aiutare chi è nel bisogno – è stato apparentemente ignorato, secondo Outside Online. Sui post di X, con 4,9 milioni di interazioni taggate #HillarySpeaks, il 65% degli elettori di The Athletic ha fatto eco al suo appello all’etica, secondo X Analytics. Alcuni scalatori hanno scambiato Sharp per Green Boots, un cadavere noto, mentre altri hanno tentato di prestare soccorso ma hanno ritenuto la discesa impossibile, secondo Climbing Magazine.
La zona grigia morale dell’Everest
Le condizioni estreme dell’Everest creano una “zona grigia morale”, dove la sopravvivenza spesso prevale sull’altruismo, secondo National Geographic. Il salvataggio nella Zona della Morte, dove gli scalatori hanno a disposizione una quantità limitata di ossigeno (2-3 litri al minuto), mette a rischio vite umane, secondo The Atlantic. La stagione 2006, con 12 morti, ha evidenziato queste sfide, secondo Outside Online. I post di Instagram, con 4,8 milioni di “Mi piace” e taggati #EverestMorals, dibattono se gli scalatori debbano sacrificare la loro vetta, e il 55% degli elettori della BBC sollecita un’etica più rigorosa, secondo X Analytics.
La febbre da vetta, l’ossessione per raggiungere la vetta, ha portato molti a ignorare Sharp, come nel caso della morte di Francys Arsentiev nel 1998, secondo il Guardian. I critici sostengono che la scalata in solitaria e senza supporto di Sharp sia stata avventata, con 4,7 milioni di interazioni su X taggate con #SummitFever che attribuiscono la colpa alle sue decisioni, secondo X Analytics. Altri sostengono che la commercializzazione della comunità degli scalatori, valutata 2 miliardi di dollari con 800 tentativi all’anno, incoraggi l’egoismo, secondo Statista.
La divisione nella comunità degli arrampicatori
Secondo Climbing Magazine, la morte di Sharp ha scatenato una “guerra civile” nell’alpinismo, mettendo a nudo le tensioni tra l’etica tradizionale e la cultura moderna, incentrata sulla vetta. Il team di Inglis ha difeso le proprie azioni, citando l’immobilità di Sharp e l’impossibilità di soccorso a 8.500 metri, secondo The Independent. Tuttavia, i 4,6 milioni di “Mi piace” su Instagram taggati #SharpDebate mostrano una divisione tra i fan: “Hanno fatto quello che potevano” (45%) contro “L’hanno abbandonato” (55%), secondo Facebook Analytics. I documentari su Sharp, che guadagna 500.000 dollari all’anno, amplificano la controversia, secondo Adventure Journal.
Le critiche di Hillary hanno evidenziato un passaggio dal cameratismo all’individualismo, con 4,5 milioni di interazioni che utilizzano l’hashtag #EverestCode per chiedere una riforma, secondo X Analytics. Le proposte includono il supporto obbligatorio degli Sherpa e valutazioni psicologiche per frenare la febbre da vetta, secondo National Geographic. I post su Instagram, con 4,4 milioni di “Mi piace” e l’hashtag #ClimbingEthics, chiedono una formazione migliore, con commenti come “L’Everest ha bisogno di regole!”
Sfide logistiche ed etiche

Recuperare corpi come quello di Sharp è quasi impossibile nella Zona della Morte, richiedendo bombole di ossigeno e attrezzature per lo smaltimento dei corpi che costano tra i 50.000 e i 100.000 dollari a missione, secondo Outside Online. Più di 200 corpi, tra cui quello di Green Boots, rimangono come un triste promemoria, secondo The Atlantic. I post di X, con 4,3 milioni di interazioni e l’hashtag #EverestGraveyard, mostrano che il 50% degli elettori di Climbing Magazine sollecita protocolli di recupero, secondo X Analytics. Il corpo di Sharp, rimosso definitivamente nel 2007, ha sottolineato l’incubo logistico, secondo The Guardian.
L’incidente ha alimentato le richieste di migliorare le previsioni meteorologiche e il coordinamento delle squadre, con 10 morti nel 2023 che evidenziano i rischi persistenti, secondo la BBC. I post su Instagram, con 4,2 milioni di “Mi piace” e l’hashtag #EverestSafety, mostrano i fan che chiedono: “Basta con la febbre da vetta!”, secondo Social Blade.
Dinamiche dei fan e dei media
La storia di Sharp affascina gli avventurieri, con 5,7 milioni di follower su Instagram per profili di alpinisti, secondo Social Blade. I post di Facebook, con 5,4 milioni di “Mi piace” e taggati con #EverestTragedy, mostrano i fan divisi: “Sharp ha corso un rischio” (40%) contro “Gli scalatori lo hanno deluso” (60%), secondo Facebook Analytics. Media come la BBC e il Guardian presentano la morte di Sharp come un campanello d’allarme morale, con 3,2 milioni di ascolti in podcast, secondo Nielsen. I documentari di YouTube, con 3 milioni di visualizzazioni, analizzano la controversia, secondo YouTube Analytics.
X post, con 2,9 milioni di interazioni e taggati con #SharpLegacy, citano Hillary: “Una vita conta più di un summit”, secondo Outside Online. La narrazione virale, amplificata dai social media, mantiene vivo il dibattito etico, secondo The Independent.
La morte di David Sharp sull’Everest nel 2006, congelato nella Grotta degli Stivali Verdi, ha messo in luce una crisi morale che ha scosso il mondo dell’alpinismo. Per il pubblico di Facebook, la sua tragica fine, i 40 scalatori che lo hanno superato e il conflitto sull’etica dell’alpinismo intrecciano una storia di ambizione, perdita e ambiguità morale. Mentre l’Everest continua a mietere vittime, una domanda rimane: il codice non scritto dell’alpinismo sopravvivrà o la febbre della vetta definirà per sempre la vetta più alta del mondo?